Ciao Alessandro, grazie per l’intervista e
complimenti per aver vinto il primo premio del concorso "Stanza
Svelata" organizzato da Leisure Spot! Come ti è venuta in mente l'idea per
la poesia “Mondo” ?
Ma grazie a chi ha
apprezzato il mio spartito! Ultimamente rifletto spesso sul ruolo del poeta. E
poi, sul poeta che slitta su un mondo che, imperterrito, gira e lo rigira. E
ancora, sulle mie spudorate solitudini. E ricordo bene che un giorno mi trovavo
nella sala d’attesa del mio dentista ed evidentemente lo stato d’apprensione e
titubanza, che mi portavo dietro in quegli interminabili minuti che precedevano
il mio turno di martirio, ha assecondato a dovere la mia frizzante vena (tutta
bollicine). Credo, inoltre, d’aver piluccato alcune briciole di Platone, nei
giorni precedenti la devastante estrazione dentale, e un paio di sassetti della
caverna del suo mito devono essermi rimasti addosso, tra i fili del maglione o
nel risvolto d’un calzino, o chissà dove. Comunque conservo alcuni dei miei
foglietti volanti e credo d’aver qui con me anche quello incriminato,
contenente la cellula impazzita da cui è nata la mia memorabile prima
classificata…il tempo di scovarlo…eccolo! Ci ritrovo una manciata di tratti confusi:
la parola “mondo”, campeggiante su in alto e ripetuta più e più volte, il
termine “isolotto”, qualche caverna sparsa qua e là (con scriventi annessi), da
ognuna delle quali emana diffusa invidia per il vicinato e, in coda, il ricordo
del mondo, “grande e tondeggiante”. Insomma, per farla breve, generalmente
butto giù un paio di frasette, piuttosto sconnesse (lo faccio in tram, dal
fruttivendolo, in trincea, dappertutto!) e poi cerco, pazientemente (nei
successivi giorni, anni o secoli), d’attutirne l’impudica oscenità.
In quale misura la tua formazione classica ha
influito sulla tua scrittura?
Credo, ahimè, poco o niente. Ricordo gli anni dei
miei studi con tormento, fragile, insicuro, distratto, disadattato, passivo
com’ero (e come sono?). Ciò che apprendevo lo traducevo in quel tanto che
bastasse a “sbrigar la pratica”, senza amore per l’apprendimento, per la
lettura, per l’arte, per la vita. Le mie indocili passioni le ho sviluppate
solo in seguito, per mio conto, forse per scampare alle mie noie abissali e
alimentare le mie voluttuose fantasie.
Quanto contano l’ispirazione e il lavoro di
limatura nelle tue opere?
L’ispirazione è tutto. Non fui ispirato? Non
scrissi un rigo, per anni ed anni (mai forzarsi!). Lo fui? Scrissi a valanga,
persino dal dentista, fino a un attimo prima di finir sotto i suoi impietosi
ferri. Per quanto riguarda invece il lavoro di limatura, alcune volte (pochine)
è nullo, altre (tante e tante) è frenetico e si protrae per giorni e giorni.
Però, più tempo passa dalla prima stesura, meno intervengo sui miei scritti.
Perché, una volta ultimati, mi sentirei di tradirli se li manipolassi
eccessivamente. Posso rimetterci lo zampino, su una mia vecchia bagattella,
persino, in certi casi, ad anni di distanza ma, se la canna della mia pistola è
ormai palesemente fredda, le variazioni saranno davvero minime, e marginali.
Ci sono autori contemporanei o meno che hanno
inciso significativamente sulla tua scrittura?
Tutto ciò che leggo probabilmente incide, dal
“compagno di banco”, che sbircio su un’antologia o in rete, al “classico”, che
assaporo stravaccato in poltrona. Amo attaccarmi a un’immagine, o anche a una
sola parola, letta qua e là, e farci proliferare attorno un mio nuovo
scioglilingua: è uno dei miei passatempi preferiti. Ma, se parliamo d’influssi
significativi, non posso che citare De André e Garcia Lorca, Bob Dylan e
Baudelaire, Vasco e Leopardi, Paolo Conte e Pessoa. Fino ad arrivare, di coppia
in coppia, a quella che mi sta facendo compagnia in quest’ultimo tratto, formata
da Gaber e Whitman. La prossima sarà
magari composta da un rapper e un aedo ventenne, chissà!
Puoi raccontarci come sono nati i libri di poesia
che hai pubblicato finora?
Non posso lamentarmi, da qualche anno scrivo a
ritmi da catena di montaggio (più scrivo, più ne ho voglia). E mi diverto poi a
distribuire il mio materiale in varie raccolte, più o meno degne, omogenee,
sensate. Inviandole, sconsideratamente, in branchi famelici, a vari editori e
concorsi, proprio un paio delle più arruffate hanno avuto, come dire, buon
esito e son diventate qualcosa in più d’una cartella in una fossile pennetta (o
catasta di cartacce nel cassetto dei ricordi). Tutto qui. Certo, ultimamente mi
son fatto furbo, son diventato più cauto e selettivo riguardo l’organizzazione
dei miei parti letterari, cerco di dare il più possibile criterio, compattezza
alle mie scorribande (che un qual dio me la mandi buona!). Ma un paio d’anni
fa, dopo ere di scritture volutamente clandestine, affossate, estranee a sé
stesse, essendomi infine deciso ad affacciarmi al “mondo”, era giusto che
andasse così, che cioè fiondassi a destra e a manca le mie cartacce, con
l’incoscienza d’un poppante birbantello e la fremente speranza di vederne
qualcuna accettata, e pubblicata. Perché l’approvazione d’una giuria o
redazione mi desse il coraggio d’andar avanti nel propormi a qualcuno che non
fosse la specchiera di casa mia. Fermo restando che si scrive perché si scrive,
al di là d’un possibile editore, premiatore, lettore. Mondo.
Non ho link, siti web, canali sociali, pagine
promozionali da inserire: vivo tuttora sul mio isolotto, in caverna (la prima a
sinistra), a cellulare moribondo, invidioso di tutto e tutti.
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