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http://leisurespotblog.blogspot.it/2014/09/interview-with-pietro-roversi.html
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Ciao Pietro,
grazie per aver accettato
l'intervista. Che ne dici di iniziare parlandoci un po' di te e del
tuo lavoro?
Grazie a te dell'opportunità! Un
ascolto non va mai dato per scontato e cercherò di meritare
l’attenzione accordatami.
Faccio ricerca medica, più precisamente
faccio il biologo strutturale, e anzi, a voler dare più dettaglio
ancora, faccio il cristallografo di proteine. Se quindi qualcuno ha
una proteina di cui vorrebbe conoscere la forma 3D può venire da me,
si faccia sotto e io provo a risolvergliela. E speriamo che non mi ci
vogliano 8 anni, come mi successe nel 2003-2010 con la struttura del
Fattore I del complemento umano!
In breve, parto dal gene che
codifica per la proteina, lo metto dentro delle cellule che leggendo
il gene producono la proteina, la isolo e ci faccio un cristallo.
Questo cristallo funziona un po’ come una lente di ingrandimento
dato che le proteine anche se sono molecule grandi rimangono pur
sempre impossibii da osservare al microscopio ottico (hanno dimensioni
attorno al milionesimo di millimetro). Per “vedere” la proteina,
mando i raggi X sul cristallo e con le immagini che registro su un
rivelatore , ricostruisco la struttura del cristallo e quindi della
proteina. Vedendo questo modello in 3D si capiscono molte cose circa
la funzione della proteina e per esempio si possono inventare
molecule che ne alterino il funzionamento, e magari diventare
medicine.
Quando hai cominciato a scrivere
poesie? Quali erano i tuoi autori preferiti allora? Come è cambiato
nel tempo il tuo approccio alla poesia?
Ho
iniziato a scrivere poesie al liceo (alcune in latino, per via del
Certamen Catullianum, un concorso di scrittura in latino che si tiene
ogni anno a Lazise). Da piccolo amavo Gianni Rodari, le sue
filastrocche, i suoi temi bonariamente sovversivi e le sue rime
forzate e bislacche. Mia madre citava a memoria da poeti studiati da
lei a scuola, alcuni dei quali oggi farebbero rabbrividire molti: Ada
Negri, Marino Moretti, Diego Valeri e poi naturalmente Pascoli e
Leopardi. Crescendo, leggevo tutto quello che mi capitava tra le mani
(ho sempre divorato le antologie scolastiche). Una predilezione per
certa poesia che non si prende troppo sul serio mi rimaneva:
Cardarelli, Gozzano, Palazzeschi, etc. Ho letto Dante come tutti a
scuola, un po’ con l’imbuto e un po’ col cucchiaino. Mi
piacevano soprattutto Ariosto (mi ricordo ancora di quando comprai I
due volume dell’Orlando Furioso e lo lessi un’estate e mi fece
una grande impressione, per la levità, la fantasia, l’invenzione)
e Montale, di cui ebbi in regalo il Meridiano Mondadori, e rimane per
me una lezione di pulizia e di rilevanza somma.
Vorrei avere la
cultura di Antonio Bux al riguardo, e cerco di colmare le mie lacune,
ma di contemporaneo conosco bene e amo soprattutto Cristina Annino e
Giuseppe Caracausi. Alcuni testi di Antonio Bux e Giampaolo de Pietro
hanno anche quelli una grande forza per me e li rileggo volentieri.
Ritorno sempre anche sui miei poeti inglesi americani preferiti
(Emily Dickinson, Wallace Stevens, Marianne Moore). Col tempo ho
capito che la maggior parte della poesia non mi piace (per dirla con
Cristina Annino: “L’intimo non mi va, e il lirico / mi
spaventa.”) ma il poco che amo vale tutto il tempo passato a
leggere cose meno buone nel tentativo di trovarlo. La poesia per me
insomma è il proverbiale letame con la gemma dentro.
Quante
lingue conosci? Cosa ti piace di ognuna di queste lingue? In quale
modo la lingua influenza la tua poesia?
La
poesia buona per me deve essere contemporanea, nel senso di aderire
al parlato corrente (con buona pace di avanguardie e classicisti); e
l’impatto con le lingue straniere è una sorgente importante dei
cambiamenti di una lingua.
Dopo 20 anni passati all’estero,
rispondendo a questa domanda sulle lingue straniere, spendo però
innanzitutto qualche parola sulla nostra. L’Italiano ha dentro una
storia che comprendo bene, da quella dei miei genitori e dei miei
nonni, giù giù nei secoli fino alle sorgenti del latino: per questo
è importante per me. Non sopporto però quello che io chiamo
l’italiano da tema scolastico, con tutte quelle subordinate che
offuscano; la scrittura giornalistica italiana sciatta che mescola
pochi fatti e molte opinioni; il burocratichese; e soprattutto il
sermone e il discorso cattolico, un vero veleno distillato di
anti-senso e sussiego, un uso atroce della lingua, che in un colpo
solo non comunica nulla di sensato e non lascia spazio a nient’altro
di vero. Poco dell’Italiano che sento parlare in TV vale. Alcuni di
questi orrori esistono anche in traduzione ma gli aspetti deteriori
delle lingue straniere non ci frustrano mai quanto quelli della
nostra.
Leggo, ascolto, parlo e amo più di tutto l’inglese, per il
suo lessico sterminato (circa sei volte più ampio dell’italiano)
che consente un’accuratezza estrema, quando la si voglia; e per
l’assenza quasi assoluta del genere, il che permette di essere
assai ambigui, quando lo si voglia. Esempio: “My
friend is visiting from Italy. They arrived last night and they’ll
stay until Monday.”
dove l’assenza di maschile/femminile e l’uso estremo del pronome
plurale per riferirsi a un nome singolare, lasciano in ombra il sesso
di questo amico/a in visita. L’inglese insomma è una lingua in cui
chi parla può dire quello che vuole come vuole, senza cozzare contro
troppa restrizione grammaticale o sintattica. L’inglese è una
lingua in cui chi parla ha potere quasi assoluto su quel che dice.
Del francese, che leggo senza grossi problemi ma parlo assai male,
amo i suoni, così sofisticati e irriproducibili per me. Lo spagnolo
infine lo amo in maniera viscerale, perché ha la familiarità
dell’Italiano, eppure mi sorprende costantemente. Un po’ come
l’emozione enorme che ci darebbe la scoperta di una vita che non è
stata la nostra ma poteva chiaramente esserlo. Lo trovo anche di
un’eleganza commovente, ancora una volta per via che mi ricorda un
Italiano altro, forse ottocentesco, magari futuro.
Ci racconti un po' delle tue
esperienze di pubblicazione cartacea e su Internet? Dove pubblichi le
tue poesie? Sei in contatto con delle realtà virtuali stimolanti?
Mauro
Ferrari mi propose di pubblicare il primo libro, uscito con lui a
Puntoacapo nel 2010. Fu un’occasione di cui gli sono grato e che
non mi lasciai sfuggire, ma da allora ho deciso che non voglio più
contribuire alle spese del libro pur di pubblicare. Piuttosto mi
tengo il manoscritto per me: in venticinque anni di scrittura, contro
i due libri pubblicati, ne ho cinque completi ancora nel cassetto.
Voglio un editore che prenda il rischio e investa in un libro, anche
perché è una garanzia che si darà da fare per
promuoverne la
diffusione. In tal senso, quest’anno ho avuto la splendida fortuna
di incappare in Piera Mattei a Gattomerlino Superstripes, che non mi
ha chiesto un centesimo e ha prodotto un librino di veste grafica
impeccabile colle mie poesie del 2012-2013. Quanto a Internet,
metto i miei testi su Facebook per i miei amici, e mettevo tutto
quello che scrivevo (salvo poi cancellare I testi che uscivano in
libro) su http://www.scrivere.it,
ma hanno iniziato a censurarmi pesantemente, ed è un peccato.
Nei
tuoi componimenti, la lingua è scientifica, precisa, si vuole
oggettiva mentre sviscera l'umano e la sua fallibilità. La direzione
del discorso è data dal gioco di parole arguto basato sulle
combinazioni lessicali, sulle assonanze, sulle vicinanze semantiche
(inevitabile l'accostamento al wit dei poeti metafisici inglesi.) Spesso questa svolta semantico-argomentativa è realizzata nell'enjambement.
Un altro aspetto che mi preme è la corporeità, la
descrizione puntigliosa dei gesti, in breve, l'immagine concreta che
realizza l'immaterialità poetica (una contraddizione in termini!) Di
solito come nascono le tue poesie e quanto ti richiede il lavoro di
limatura?
Hai
ragione a dire che i miei testi sono corporei, è perché sono uno
scienziato, e il linguaggio che si rivolge a sé stesso per me è una
soglia che non porta da nessuna parte. La mia poesia vuole il mondo
dentro. Il tuo commento mi ricorda anche quello che ne ha scritto
Nicola Gardini : nella sua nota critica alla mia poesia apparsa
nell’Antologia “Poesia
in Piemonte e Valle d'Aosta“
(Puntoacapo, 2012), lui dice che c’è molta statica nei miei testi
e che però sono ginnici. E anche John Donne è un paragone che mi
emoziona, non perché ne sia degno ma perché amo la poesia come la
sua, con dentro idee, discorso. Quanto al gioco di parole, e ai
trucchi che tu menzioni, sono in parte il frutto della constatazione
tragicomica che arrivato alla mezza età, mi pare potrei far fronte
alla maggior parte dei dilemmi della vita facendo ricorso a proverbi
o luoghi comuni. Ma gli stessi aspetti del mio linguaggio assolvono
anche funzione manipolativa, perché in poesia si ha una chance che
non molte altre forme di comunicazione offrono (a parte il romanzo
giallo e l’enigmistica), quella di attirare il lettore in una
trappola lavorando sulle associazioni di idee inevitabili, sul
pensiero debole perché trito, su quel che l’orecchio si aspetta
mentre il cervello dorme. E io provo a scrivere testi che tirano il
tappeto da sotto le scarpe al lettore. Perché quando si tratta di
pensiero, fidarsi è bene ma non fidarsi è meglio. Paradossalmente
spero che il mio uso del banale il consueto lo stranoto possa
svuotarli del valore che vien loro attribuito dal lettore senza che
ne sia consapevole. Insomma mi piace creare inciampi per emancipare.
Me stesso prima di tutto!
Un
testo mio nasce in genere da qualcosa che sento dire da altri, oppure
da una frase che mi arriva in testa di notte. In genere un testo è
pronto in meno di un’ora. Poi il giorno dopo lo rileggo e lo taglio
e lo riduco all’essenziale. Rari oggigiorno i testi che hanno
richiesto lavoro più lungo (un tempo sì).
Vorrei concludere l'intervista
chiedendoti di condividere con me e i lettori del blog due poesie in
italiano che credi siano particolarmente rappresentative del tuo
stile.
Ai
potenti, al destino
Chi può
vieta a
chi non. Questi ultimi
saranno i primi
Zeta. A differenza
di ciò,
chi non sa
chiede a
chi. I quali senza
dubbio rispondono.
Io seguo
un metodo scorretto,
moltiplico pani per pesci, lancio
monete roventi
dal tetto al marciapiede. Ribéllati
anche tu se ci riesci,
dico al mondo bambino. Elévati
a qualche potenza, pianta
un casino.
1315 C
Quando
ho visto il calendario
dei pompieri,
ho pensato ad uno
degli imbianchini. Patinato,
antartico, i pinguini,
venderebbe coi fabbri
e gli infermieri,
unici veri esperti del calor
e.
dei pompieri,
ho pensato ad uno
degli imbianchini. Patinato,
antartico, i pinguini,
venderebbe coi fabbri
e gli infermieri,
unici veri esperti del calor
e.
Ringraziandoti ancora per il tuo
tempo, ti saluto lasciando ai lettori qualche link che ti riguarda:
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