sabato 27 settembre 2014

LIBRI A MOLLO: Presentazione di "Antropometria" e "Il giorno che diventammo umani" di Paolo Zardi

Venerdì 26 settembre 2014 – Sono due i libri di Paolo Zardi - “Antropometria” e “Il giorno che diventammo umani” - presentati all'ultimo incontro di Libri a mollo al Chioschetto di Ponte Milvio.
Graziano dell'Anna, moderatore dell'evento, ha parlato della grande risonanza che ha avuto sui social network una foto di Paolo Bonolis che leggeva “Il giorno che diventammo umani” e si è augurato di vedere sempre più vip che leggono nella speranza che segnali di questo tipo risollevino l'editoria da questo momento di grande crisi per l'editoria.
Paolo Bonolis, ospite d'eccezione, ha spiegato che il suo interesse per questi libri nasce dalla capacità di Zardi di 'cogliere frammenti in superficie dell'animo umano che cambiano a seconda della luce che impatta' su questi e di raccontare 'sensazioni in un breve tratto di racconto'. I racconti di Zardi sono 'forti e ironici' e sanno 'leggere la realtà nella sua drammaticità e nella sua natura grottesca'. La bravura dell'autore si vedrebbe anche nella plasticità della scrittura che permette al lettore di realizzare l'identificazione anche con un personaggio privo di nome.
Inoltre, secondo Bonolis, la nostra è forse 'un'epoca di eccessiva velocità fuori dallo spazio e dal tempo' dominata da Internet. Abituati all'immediatezza dell'informazione, l'intervallo di tempo necessario per leggere un libro finisce per sembrarci troppo lungo.
Per Dell'Anna i testi di Zardi trattano di 'un'umanità minuta' e pongono l'essere umano al centro della narrazione, come tutta la grande letteratura, da quella classica alla più recente. È poi il ricorso al grottesco e a elementi anomali che caratterizza l'opera dell'autore.
Per Zardi essere uno scrittore significa prima di tutto avere uno sguardo diverso che sappia rubare a piene mani dalla realtà che lo circonda. Secondo l'autore, 'la letteratura è una forma di conoscenza' che 'si occupa di cose di cui non si può dare una misura'. Così come per tanti mostri sacri, i due temi principali della sua opera sarebbero 'l'amore e la morte'.

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mercoledì 24 settembre 2014

LIBRI A MOLLO: "Raccontare Roma", ovvero i libri della Palombi Editori

Martedì 23 settembre - Un'altra bella serata in compagnia di Palombi Editori e dei suoi autori per l'incontro “Raccontare Roma” in occasione della rassegna “Libri a mollo”. 

Ha avviato il dibattito Sergio Bonetti, moderatore dell'evento, ringraziando Carmelo Calì, 'libraio come non se ne trovano più' e i ragazzi del Chioschetto, un 'luogo incredibile' che dimostra come la cultura non debba necessariamente 'essere pesante ed elitaria'.
Palombi Editori, specializzata in volumi su Roma, ha anche realizzato cataloghi di mostre importanti. Fondata nel 1914 dai fratelli Nello e Francesco formatisi a Lipsia, 'vertice delle arti tipografiche', la casa editrice ha praticamente 'fatto un secolo'.

  Claudia Monteiro de Castro, autrice di “La mejo Roma”, nasce in Brasile ma si stabilisce a Roma dodici anni fa, abbastanza per vedere 'con occhi da romana' la città eterna ma con un po' meno di quella pigrizia del romano che 'ha tutta la vita per vedere Roma'.

 
Carmen Rotunno ha invece pubblicato per Palombi Editori “Roma è anche una città per bambini”, “Roma quando piove” e “Roma spendere bene”. Nei suoi libri, l'autrice propone al lettore una Roma insolita e più 'internazionale' che non sia la solita 'pizza e Colosseo'. I luoghi che menziona - 'provati, rivisti e fotografati' – sono 'realtà interessanti', 'indirizzi frivoli ma anche culturali' che 'l'hanno catturata'.

 
Per Flaminio di Biagi, autore di “La Roma di Roma città aperta”, un testo su 'un film fondamentale' ambientato in un 'periodo storico importantissimo', il personaggio del prete interpretato da Fabrizi nel film sarebbe la combinazione di ben tre personaggi storici realmente esistiti: Don Morosini, Don Pappagallo e Don Pierluigi Occelli, chiamato 'Don Pietro', prete partigiano che organizzò la difesa di Montagnola dai tedeschi.


Le chiavi per aprire 99 luoghi segreti di Roma” è invece opera dello storico dell'arte Costantino D'Orazio, venuto a contatto per la prima volta con la Palombi grazie a un progetto poi diventato realtà di pubblicare delle miniguide sulle periferie romane nel tentativo di rilanciare dei quartieri che 'i romani non avevano mai capito'. Probabilmente il libro che ha ispirato il personaggio di Pasotti in “La grande bellezza” , “Le chiavi” è secondo D'orazio parte del 'grande libro' della Palombi, editore di grande coerenza che offre una 'visione trasversale di questa città.'

 
Francesco Palombi ha infine sottolineato che molte di queste iniziative sono state proposte alla casa editrice dagli autori e che questi libri riescono nel difficile compito di parlare di una città di cui si è già scritto tanto grazie a una miscela di  'passione' e  'professionalità.'

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venerdì 19 settembre 2014

LIBRI A MOLLO: Presentazione di "Mette pioggia" di Gianni Tetti

Nuovo appuntamento del 18 settembre di ‘Libri a Mollo’ con la presentazione\reading di ‘Mette pioggia’ di Gianni Tetti, edito dalla Neo Edizioni. Sono intervenuti l'autore, Francesco Coscioni, Carlo Sperduti e Nicola Bonimelli.

Il dibattito è stato aperto da Francesco Coscioni, titolare della Neo Edizioni, casa editrice fieramente indipendente il cui obiettivo è sempre stato in sei anni di attività quello di scoprire talenti nascosti. Di Gianni Tetti – secondo la rivista ‘Il Mucchio’ “uno dei cinque autori da tenere d’occhio” – La Neo ha pubblicato anche la raccolta di racconti ‘I cani là fuori’.

Per Coscioni, la presenza di un “nucleo in cui palpita il male”, il legame profondo dei personaggi con la terra  e l’onnipresenza degli animali sono tratti distintivi di  ‘Mette pioggia’, “libro corale” in cui si stilisticamente si avverte l’esperienza di Tetti come sceneggiatore. 

Nelle parole di Tetti, l’animale è il naturale “contrappunto all’essere umano”, lui stesso nient'altro che un animale e l’uomo è in effetti “preda dei proprio istinti” tanto più “è a contatto con la terra”. Fondamentale nella stesura del libro è stato trovare il ritmo giusto, suggerito all’autore dal ‘Bolero’ di Ravel, che proprio come ‘Mette pioggia’, inizia in sordina per concludere in un imponente trionfo.

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martedì 16 settembre 2014

LIBRI A MOLLO: Presentazione di "Come un respiro interrotto" di Fabio Stassi

Si è tenuta ieri sera alle 19 al Chioschetto di Ponte Milvio la presentazione dell'ultimo libro di Fabio Stassi “Come un respiro interrotto” all'interno della rassegna letteraria “Libri a mollo” patrocinata dal Municipio XV di Roma Capitale.

Dopo la lettura di una brano che ha tenuto tutti con il fiato sospeso, ha preso la parola Nicola Lagioia, uno dei due moderatori dell'evento, secondo cui questo libro è per Stassi - “l'antitesi dello scrittore italiano ombelicale” - un ritorno a casa. Infatti, dopo aver parlato di Sicilia, Sudamerica e Stati Uniti, lo scrittore ambienta “Come un respiro interrotto” nella Città Eterna, di cui mette in evidenza la profonda trasformazione urbana e sociale che l'ha investita negli ultimi cinquant'anni. Per Lagioia, l'ultimo libro di Stassi è un'ode appassionata al “meticciato salvifico”: Sole(dad), la protagonista, cantante mai registrata che si esibisce nei locali romani, nasce infatti da famiglia siciliana traferitasi in Uruguay.

Giordano Meacci rintraccia invece nell'idea della “voce” la chiave di volta del romanzo e definisce i 26 capitoliche compongono il libro “26 forme di dispnea iterata”.

Altra questione su cui Meacci pone l'accento è l'“imperfezione” jazzistica fatta di “balbettii e imprecisioni” che Stassi sembra voler ricreare nella sua scrittura.

Fabio Stassi avalla quest'ipotesi e ci spiega che tutti i suoi libri in fondo parlano di assenze e della sensazione di aver perso qualcosa. In “Come un respiro interrotto” la sua aspirazione era descrivere “la voce dietro il sipario” di Soledad. In questo senso, il libro, un tentativo di scrivere jazzisticamente “fuori tempo”, è un “fallimento grande” sulla falsariga di quel desiderio di Coltrane di dare all'ascoltare l'impressione “di mettere il piede nel vano vuoto di un ascensore”.

Importante per Stassi è anche il tema della famiglia, una volta custode del culto delle storie e della musica, purtroppo destinata alla disintegrazione in questa Roma trasformatasi gradualmente in città per soli ricchi.



Per i prossimi appuntamenti con “Libri a mollo”: https://www.facebook.com/libriamollo

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lunedì 8 settembre 2014

Interview with Pietro Roversi

First of all, thank you for agreeing to this interview. How about starting it off by telling us a bit about yourself and your job?

Thank you for this opportunity! I was born in Novara (Italy) by accident, in 1968, my family are from Modena, and when I was 6 we moved to Verona, where I grew up. I went to University in Milano and after my chemistry degree I decided I had no interest in making new molecules, rather I wanted to look at existing ones. This, and a passion for living cells, made me choose protein science. During my doctorate I moved to England, where protein structural science was born in the XX century, and here I have become a structural biologist. Mostly, I work as a protein chemist and an X-ray crystallographer: we isolate proteins and make them into crystals (think of these crystals as a magnifying lenses for the proteins they contain). We then shine X-rays on the crystals and interpret those X-ray images to obtain 3D models of the proteins. These 3D models inform on the functions of the proteins and assists drug design. At the moment we are trying to understand how UGGT (the enzyme responsible for the quality control of all proteins secreted by eukaryotic cells) can do its job at all: imagine a single molecule in charge of checking on hundreds of differently shaped molecules, and being able to flag them for retention in the cell if they are incorrectly folded. A molecular mystery! That, or the current model about UGGT needs improving. My colleagues and I think we should find a drug to inhibit UGGT in individuals suffering from certain genetic diseases. We hope to be able to prove this idea right or wrong.

At what age did you start writing poetry ? What were your favourite poets then? How has your poetry evolved over the years?
I started writing poetry around the age of 14. My favourite poets then were Catullus, Ariosto, Gianni Rodari, Dino Campana and Eugenio Montale. All I wrote till the age of 21 has either been lost or destroyed (although I suppose a copy of some latin hexameters of mine may survive among the records of the 1986 Certamen catullianum (a yearly latin writing contest for schoolchildren) in their archives in Lazise).

The first surviving manuscript of mine is a book I wrote in 1989-1991, still unpublished, although the poems are online – together with the entirety of my unpublished texts to date. Whenever I publish a book I remove the poems from the web, but the rest is all there: individual texts online do not give a true sense of the manuscript they belong to, but they can still be appreciated individually before they appear in a printed book.

A second book of poetry, also unpublished, was written during the years 1993-1994: at the time, I was serving as a conscientious objector in a community hosting a dozen of psychiatric patients in Sesto San Giovanni, between Monza and Milano. Earlier in 2014 I took some of those poems out of the drawer and submitted them to a small poetry competition in Rimini, and I have been awarded the first prize: http://farapoesia.blogspot.co.uk/2014/07/vincitori-del-concorso-in-sana-mente.html

Since moving to England, I developed a taste for American poetry (Marianne Moore, Emily Dickinson, Wallace Stevens), while among italian poets I came to appreciate Aldo Palazzeschi, Giampiero Bona, Guido Gozzano, Giorgio Caproni, Bartolo Cattafi, and Toti Scialoja. Perhaps not surprisingly. Alongside these readings, my poetry has become increasingly sound- and rhyme-based. Among living italian I especially love Cristina Annino and Giuseppe Caracausi. From them I am learning to cut out the inessential and the redundant, and to trust my own text without worrying too much about the reception on the part of the reader. My recent texts have benefitted from their help and example.

How many languages can you speak? What do you like about each one? How does language affect your poetry?
I can speak Italian of course, although these days I sometimes come up with rather anglicised turns of phrase. I like Italian when it is terse and concise, because of its simplicity. Its roots stretching back to Latin carry for me the past into the present. My English can be good at times: I love this language’s immense lexicon, which allows its speakers to be very accurate if they choose to be so; and the almost complete absence of gender in it, which in turn allows vagueness when needed. My Spanish is basic but I find that it stirs very strong emotions in me, the way what is familiar and yet exotic at the same time does. My French sounds horrendous, and yet I admire its subtle vocalic sounds I cannot reproduce, and its ability to pass for sophisticated even when it’s rather coarse. I am fortunate enough to have ready many great books written in one or another of these languages, and it gives me a great joy to be able to read something very good in the original. All these languages affect my poetry because they remind me that a poem can only be justified if it is the best (if not the only) way of saying what it says. So other languages I know in the background serve as it were as a selection/control ground for my texts in italian. Last but not least, I think that today the future of all languages is in their coevolution and reciprocal contamination. I am especially excited about what is happening and will happen to italian in the wake of the more recent waves of immigration to Italy.


Tell us a bit about the two poetry books of yours that have been published and your electronically available poems. What poetry websites do you regularly publish your poems on? Are you in touch with stimulating online communities?
Una crisi creativa” (Puntoacapo, 2010) is – as the title suggests – the result of a year of furious writing, which I would liken now to the bursting of a suppurating wound or an infected spot. It contains rough, coarse, inflated writing, with the rage and the exhilaration of middle age in it. Its texts went through none of the painstaking polishing I used to carry out on my writings before. Perhaps in spite of this, or perhaps precisely because writing the book was such a liberating experience, when I finished it, for the first time in my life I thought I should try and publish it. I had always taken writing seriously but I never craved readers; with these poems I did, and I remain very grateful to Mauro Ferrari who gave me the opportunity to find some. I am still rather inclined to forgive the book’s weaknesses, although now that I think I may have readers, I have become much more strict with myself when it comes to working on a poem.


My second published book “Vamosaver” (Gattomerlino/Superstripes, 2014) was written during my 2012-2103 stay in the Basaue Country. It retains the irony and the invective of the first book in places, but it also relishes shorter, more controlled forms, and it is more experimental in its attempt to grapple with the language, with foreign languages darting to the foreground from time to time where the italian needs them. I am not sure if I can continue writing like this but I am very pleased with the editing Piera Mattei did on the book, with the watercolour that my friend and colleague Daniel Badia Martinez drew for it, and with the many memories that these texts capture and I hope reverberate around.

For my online publishing, I have chosen a low-brow, open-to-all website, http://pietroroversi.scrivere.info/. They maintain my texts in good order and they provide space for my readers to comment. I can link to those pages when I need it. While the people in charge of the website hold very different views on poetry to mine, and we have often clashed, I enjoy the company of many other people who publish their writing in there, and I have found as many good writers among that community as in the official world of italian published poetry. In some sense the website is below the radar of the professional literary critics, so I am really hiding my texts in full view, which I enjoy: it helps me focussing on the writing without taking myself too seriously. I regularly put my texts on Facebook as Notes, for my friends to read. I have occasionally published texts in online poetry magazines, poetry blogs or friend’s webpages.


 In your poems, a scientific, supposedly objective language is used to dissect humakind and its fallibility. The discourse is steered by witty puns based on collocations, assonances and semantic affinities (I can't help but think of the metaphysical poets and their notion of wit.) Often such a semantic and thematic turn is realized in the enjambement. Another relevant matter is the bodily dimension and the meticulous description of acts, in short, concrete imagery realizing poetical immateriality (a contradiction in terms!)
What do you start with when writing poems and how long does it take you for the polishing work?


I am especially fond of John Donne’s poetry, so I am delighted (if rather humbled) by the comparison with the metaphysical poets. And I certainly strive for texts that carry or embody the complexity and the ambiguity of the world, including human contradictions. In this context, the language for me becomes the network that keeps things together. Hence perhaps the interconnecting sounds and the skeleton of connected words that often traverses the text, as you point out. References to different parts of the same semantic field and broken down chains of associations serve the same purpose. In a nutshell, good poetry for me must contain hidden persuasive devices, and anything giving cohesion to the text gives it plausibility and helps manipulating the attention of the reader.

As to their genesis, the poems are born in a number of ways, but two of the most frequent ones seem to be: I hear somebody speaking a phrase or sentence, and then I feel compelled to write it down, stealing it, I suppose; or when a syllable presents itself repeated in a sentence, either mine ot somebody else’s, and it triggers more instances of itself to follow. The poem then unfolds or wraps around these germs. A single word seldom calls for a poem and indeed I am not a great fan of single words in isolation. I especially hate verse without verbs and just nouns stated as if they were magical or evocative or “poetic”. We do not speak like this in everyday life. I am more interested in grey, neutral parts of speech, stock phrases, proverbs, adages, the commonplace, the banal. Perhaps in my middle age so much of my thinking is either prejudicial or stereotypical, that these parts of the language suit me best.

As to the work on a text after its genesis, most poems are finished in half an hour or so. Others take longer, days perhaps, but I do not work on them all the time. I leave them, forget them for a little while, then go back and delete or add and fix until I do not know what to do anymore or they look the way they should. Deep down, I almost always know the weaker bits, but it is not always easy to find the courage to cut them or know how to improve things. Sometimes letting somebody else edit a text of mine or give me their opinion on it has helped me immensely, although there are parts that I would never accept to change, because they are what they should be (typically because of their sound, the way they scan, or their interrelation to the rest) and I do not care if somebody else thinks otherwise.

I'd like to conclude this interview asking you to share two poems of yours with me and the readers of this blog so that they can have a sample of your work.


 Dates for my diary


During the Napoleonic wars

Britain was isolated

from mainland Europe:

people became collectors

of seaweed and root vegetables,

and this tradition

seems to have continued

well beyond the scope

of that need. Laver bread, sea kale, black

salsify are just examples of near-inedibles

that could feed the starved

in a time of dearth. Back then,

that kind of knack for tasteless hope could be excused.

But what a palaver now to insist that it still be of use.



On another matter, you teach, you would not

spell "lose" "loose",

but I wouldn't put past you the belief

that the Barnacle Goose

was born from a mussel on the beach, such

is your virginity in all matters

exact (microbiology, anatomy or humanist

church-going are examples), not to mention

any fact to do with movement in space, or with the sense

of what makes one handsome and what does not.



Not that it matters much. Much to my chagrin,

the Key of Joy may be the sin of disobedience, but

I'll stick with the dates for my diary,

with the compere on the show, as I want his

company, companionship, comradeship

beyond compare. Like in the old days,

this is a case of

kelp for ash, and cash for kelp.

One helps oneself to what is in one's dish.

One learns to relish help when one is famished.



The funny thing is though, all considered:

I am continental. I can shop. I know better.

From now on, I vow to reintroduce

some of the good produce, stop being a schlepper.



[28082009]



Swag, loot & contraband


Look at how the shiny orange leaves

tumble down to the floor,

carrot cake pieces that cavort

in the stomach! I ate my slice and more.



If hunting pink is red,

is a hunting pavillion

vermillion? As if I had qualms

about appropriating the verse in a million

that fell off the back of a lorry.

I stole these from you, sorry, Juliet!

And yet and yet and yet ...



[31102009]

Thank you again for your time, Pietro, and until next time, goodbye!


Other links on Pietro Roversi and his work:


http://www.pietroroversi.org/
 

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