Un
convegno al Salone dell'Editoria Sociale si interroga sulla
democraticità vera o presunta delle nuove tecnologie tra
uberizzazione, populismo digitale e modelli schiavistici.
Il
25 ottobre si è tenuto negli spazi di Porta Futuro nell'ambito del
Salone dell'Editoria Sociale il convegno "Utopie digitali.
Libertà o nuove schiavitù?". Avviando il dibattito nel suo
ruolo di moderatore, il giornalista Giuliano Santoro ha ricordato
come già dagli anni Settanta in poi nascesse e crescesse
un'appassionata fiducia nella tecnologia, citando l'esperienza di
quei collettivi che vedevano nella rete un canale libero e
alternativo e facendo l'esempio della rivista Decoder che diffondeva
tematiche legate al mondo del cyberpunk e si poneva l'obiettivo di
creare una rete telematica autonoma.
Secondo
Carlo Formenti, giornalista e scrittore, insegnare oggi una teoria
dei nuovi media non ha più senso in un contesto in cui assistiamo
alla totale fusione di queste tecnologie con il sistema economico e
politico così come con le relazioni sociali, dando vita a un inedito
unicum che si può indagare soltanto adottando un'ottica molteplice
che tiene conto di svariate connessioni. Quindi non l'utilizzo della
tecnica, ma "la tecnica stessa è il capitale" là dove la
vecchia concezione della separabilità di lavoro e rapporti sociali
appare sorpassata e inadatta a descrivere il panorama odierno.
Dal
fenomeno di Uber, servizio taxi privato su richiesta online, i cui
lavoratori, ufficialmente dei liberi professionisti, sono in realtà
sottopagati e obbligati a svolgere fino a cinque lavori per vivere
fino ai drammatici suicidi degli operai cinesi della Foxconn,
l'azienda che si occupa di produrre componenti elettronici per le più
famose aziende statunitensi ed europee, quello in cui viviamo è un
mondo "screziato", come dice Formenti, dove il linguaggio
del conflitto sociale non rende più conto delle innumerevoli
differenze presenti in quel groviglio che è il sistema lavoro, la
tecnologia e la vita stessa. La rete come strumento libero e
democratico sarebbe nulla più che un mito, considerato che Internet,
tanto quanto radio e televisione e in perfetta interconnessione con
quelli, si basa su gerarchie e accentramenti. libri a mollo
Per
Rossano Baronciani, docente di Etica della Comunicazione
all'Accademia di Urbino e Macerata, i social network producono
tramite l'accumulazione di informazioni e dati personali un universo
ideale che ci fa vedere solo quel che ci interessa e utilizza il
nostro stesso linguaggio, in breve, un perfetto ambiente di coltura
per un ossessivo "narcisismo digitale". Eppure, a dispetto
della sua capacità di accumulare dati, a Google mancherà sempre
quell'elemento di emozione e comprensione che è il risultato delle
nostre esperienze reali. Nonostante ciò, l'opinione di Baronciani è
che la questione importante non sia tanto esercitare una critica fine
a se stessa nei confronti dei nuovi media quanto scovare sentieri
consapevoli e alternativi.
Come
spiega Karl del collettivo Ippolita.net, gruppo indipendente di
studio sulla rete e sui suoi lati oscuri, la loro missione è
sensibilizzare l'utente su determinate dinamiche e insegnargli a
contrastare certi fenomeni. Facebook è nella sua opinione una
macchina che misura la "prestazione" dell'iscritto tramite
il like, sicuro oggetto di dipendenza: la sua apparente natura di
piattaforma amichevole vuole infatti farci credere che tutti i
problemi siano risolvibili. Schierandosi apertamente contro la
concezione di una società "aperta" sì, ma solo al
mercato, e a favore di un mondo davvero libero, Karl sostiene che il
problema vero non è il "potere" nel senso di "saper
fare", bensì gli imperi economici e il loro controllo sulle
nostre vite.